Perché questo titolo?
Questo titolo sintetizza due componenti fondamentali della mia ricerca: quella della visione collettiva che caratterizza la nostra epoca e la consapevolezza di essere Terrestri, di appartenere quindi al pianeta Terra. Da sempre rappresento nel mio lavoro l’idea che l’universo, con tutto quello che contiene, stia per diventare parte della nostra realtà più di quanto non lo sia mai stato; una realtà nella quale noi siamo solo una parte, ossia i terrestri, con le nostre caratteristiche uniche, le nostre emozioni i nostri sogni personali e condivisi.
Nel momento storico in cui stiamo vivendo gli schermi producono una realtà virtuale che è diventata condivisibile nello stesso modo e dallo stesso punto di vista per tutti gli umani, in opposto a ciò che era sempre stato prima di ora, quella della visione come esperienza unica, spesso irripetibile e non condivisibile. Da qui il tiolo: Terrestian Visions.
Quali sono i motivi della scelta dei soggetti?
Negli ultimi due anni il mio lavoro si è focalizzato sul concetto di fuga dalla realtà. Il Covid ha cambiato il mondo e non solo quello sotto casa, per pochi individui, ma quello di tutto il genere umano. Per la prima volta siamo stati coinvolti tutti e ciò ha reso l’umanità unita. In questi anni lo schermo è diventato importante; costretti a stare nelle nostre case, abbiamo incrementato notevolmente il numero di ore passate davanti ad un video; soprattutto il cinema e i suoi nuovi derivati sono stati l’unico mezzo per vedere e “vivere” ciò che consideravamo la nostra vita normale. Abbiamo sentito il bisogno di “tornare” alla normalità almeno attraverso la visione del mondo virtuale. Questi quadri sono figli di quel momento.
Ho sempre utilizzato i pixel e la pittura come elementi concettuali che potessero rappresentare la realtà che stiamo vivendo, unitamente ad immagini che rappresentassero la mia idea di passaggio epocale. In questo caso il soggetto che ho scelto – si tratti di volti, di frammenti di film, di fotografie rinvenute sulla rete – non è più qualcosa che si trova al di fuori di noi, ma è, invece, qualcosa che in questi mesi si è sedimentata dentro di noi. Sono le immagini che riuscivano a farci evadere da quello che ci sembrava una prigione per tornare almeno virtualmente alla nostra vita di sempre.
I tuoi quadri sembrano un’elaborazione fotografica fatta con il computer e poi stampata, so che invece sono dipinti a mano, come li fai?
Si, sono dipinti in pixel – la particella elementare di ogni schermo – Rossi Verdi e Blu. Tecnicamente io lavoro su tre quadri monocromi distinti, uno per ogni colore, utilizzando tre mascherine costruite appositamente, una per ciascun colore, appunto. Solo alla fine la somma dei pixel dipinti darà corpo all’immagine; la parte più complessa della mia ricerca sta nel dover dipingere il quadro senza poterlo vedere mai completamente, se non a lavoro ultimato, poiché devo lavorare sempre e separatamente solo su un colore per volta.
Può sembrare strano ma ancora oggi le tecniche di stampa digitale non riescono a produrre un colore con le stesse qualità di una pittura acrilica, il quadro non si può ne produrre né riprodurre meccanicamente e questo rende la pittura l’unico mezzo per far esistere quello che stiamo guardando.